Un libro sugli abiti per conoscere la storia e le curiosità dei popoli

Tra le opere conservate nella biblioteca della Fondazione Centro Studi Tiziano e Cadore il libro di Cesare Vecellio De gli habiti antichi, et moderni di diverse parti del mondo rappresenta un’importante e curiosa testimonianza di produzione libraria del XVI secolo. Stampato nella sua prima edizione nel 1590 presso Damiano Zenaro, l’opera intende raccogliere, illustrare e descrivere gli abiti antichi e contemporanei all’autore provenienti dalle diverse parti del mondo. Tra le oltre 400 incisioni, vengono presentati al lettore in una veste grafica originale gli abiti provenienti dall’Europa, dall’Asia e dall’Africa (nella seconda edizione del 1598 vengono inoltre aggiunte 103 incisioni di cui circa 20 dedicate ai costumi provenienti dalle Americhe). Gli Habiti appartengono al genere del “libro di costumi”, molto diffuso nell’Europa della seconda metà del XVI secolo.

Le tavole di cui è composta l’opera sono delle xilografie in bianco e nero che offrono al lettore la possibilità di avere a corredo dell’immagine dell’abito anche un commento che ne traccia l’origine, la storia e l’evoluzione, andando di fatto a proporre una vera e propria testimonianza etnografica. Le singole illustrazioni presentano una figura, maschile o femminile, in diversi atteggiamenti e posizioni, che indossa l’abito con al di sopra l’indicazione del soggetto rappresentato, il tutto racchiuso entro una ricca cornice. A seguire viene inserito il commento che spiega l’abito a cui si aggiunge molto spesso anche una testimonianza diretta dello stesso Cesare Vecellio.

Tra le varie tavole vi proponiamo quella che ritrae la figura del Pizzicamorti, colui che era deputato a vestire e seppellire i morti. Queste figure molto importanti soprattutto nei periodi di pestilenza erano assoldate dal Magistrato della Sanità che ricorreva anche a dei detenuti nei casi di particolari urgenze. Come ci riferisce precisamente Cesare Vecellio nel commento all’illustrazione, i Beccamorti o Pizzicamorti di Venezia erano vestiti con “un mantello assai ben lungo di color berettino, bigio, ò fratesco, il quale è aperto d’avanti, et di qua, et di là dalle braccia. Sotto il quale portano un’altra veste lunga fino à mezza gamba; et in testa hanno un berrettino del medesimo colore della veste, et il simile è quello delle calze, et delle scarpe”. Queste figure così abbigliate giravano per la città entrando anche con la forza nelle dimore di coloro di cui non si avevano notizie da giorni per caricarli sulle barche e trasportarli nei luoghi adibiti alla sepoltura. Così facilmente riconoscibili tutti cercavano di evitarli in quanto pericolosi, poiché di fatto erano gli unici ad avere contatti così stretti con la peste, e considerati privi di compassione umana, poiché molto spesso rubavano nelle case dei defunti.