Tiziano e Pietro Aretino, amici per la pelle


Tiziano Vecellio, Ritratto di Pietro Aretino, (1545), Firenze, Palazzo Pitti

L’attuale mostra degli Uffizi, Pietro Aretino e l’arte del Rinascimento, espone il ritratto del letterato realizzato da Tiziano nel 1545 e conservato a Palazzo Pitti. L’esposizione si basa sui recenti esiti degli studi sul ruolo dell’Aretino, letterato, collezionista e grande fustigatore tanto amato quanto temuto dai suoi contemporanei. Ha costruito la sua fortuna facendo dialogare la comunicazione letteraria con le arti visive, tanto efficacemente da iniziare a ritagliarsi spazi lucrosi presso i suoi mecenati. Si esprime in tutti i generi letterari con rara incisività, passando dal sonetto alla commedia, alla composizione licenziosa, tutto con estrema naturalezza. Lavora per i grandi d’Europa e si costruisce una rete di amicizie importanti, conoscendo i vizi e le virtù del cortigiano. Lasciata Roma nel 1527 a causa del Sacco, si stabilisce a Venezia, città degli stampatori e degli editori, dove si rafforzano la sua fama e il suo potere, portandolo a autodefinirsi “il segretario del mondo”. Stringe un legame indissolubile con Tiziano e Jacopo Sansovino. Insieme danno origine a un triumvirato. Nessun letterato aveva capito come l’Aretino le qualità del genio pittorico del Cadorino, descrivendone le opere con l’acutezza di un moderno critico d’arte.

In cambio Tiziano dipinge due ritratti dell’amico da usare come immagine pubblica, nei quali traspare l’affermazione sociale conquistata, il suo ruolo di consigliere e di uomo di potere. Il primo, dipinto intorno al 1537 e conservato alla Flick Collection di New York, non è in mostra, perché, come è noto, è inamovibile, in quanto appartiene al nucleo originario della collezione.

Nel ritratto esposto, Tiziano evidenzia tutti i simboli di un’immagine pubblica: la figura monumentale, lo sguardo terribile, la veste ricchissima e la catena d’oro, una delle molte ricevute in dono (anche da Francesco, re di Francia), proprio per esibire la potenza del suo ruolo. L’Aretino ne fa buon uso inviandola in dono al granduca Cosimo de’ Medici per guadagnarsi qualche favore presso la corte fiorentina. Nella lettera che accompagna l’opera, Pietro loda le qualità del pittore, unico nel saper fare ritratti vivi e veri, dimostrando un’altra volta che l’opera d’arte era un mezzo dal quale trarre profitto. Al contempo, Tiziano trova nell’amico il miglior letterato che con i suoi scritti ha contribuito a farlo conoscere, nonché l’influente curatore della sua immagine di artista.