Tiziano. Le botteghe e la grafica


di P. Luedemann
Alinari Editore
Anno 2016
Pagine 288


Prezzo di copertina: 45.00 €
Prezzo on line:  42.00 €
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Che Tiziano, nonostante una produzione grafica quantitativamente piuttosto esigua, fosse anche un disegnatore di eccezione, basta un’occhiata a uno dei suoi circa quaranta fogli di paternità sicura a dimostrarlo. Quali furono però le funzioni che il disegno rivestì per la sua arte in generale e soprattutto nell’ambito dell’impresa a gestione familiare, giustamente definita una vera e propria “fabbrica di immagini”, che egli volle allestire fin dai suoi esordi come pittore? Per formulare delle risposte a tale quesito, ad oggi mai affrontato in maniera approfondita e sistematica, si è cercato di evitare le secche di un discorso meramente attribuzionistico e di illuminare invece una serie di episodi particolarmente significativi distribuiti lungo la straordinaria carriera di Tiziano durata più di mezzo secolo. Così si ha modo di scoprire come già nei primi anni di attività il Vecellio sembri solo raramente far ricorso al disegno con lo scopo di preparare i suoi affreschi e quadri su tela e tavola, assegnandogli invece compiti meno scontati e più autonomi. Da un lato se ne avvale per approntare i modelli di sofisticate incisioni, realizzate grazie alla straordinaria competenza tecnica di collaboratori come Marcantonio Raimondi e Giulio Campagnola, e ambiziose silografie come il gigantesco Trionfo di Cristo, dall’altro per creare una nuova tipologia di  opera d’arte fine a se stessa: composizioni paesaggistiche attentamente equilibrate, a livello esecutivo spesso affidate al talento del giovanissimo Domenico Campagnola e destinate a soddisfare una richiesta nata grazie all’incipiente collezionismo privato. Solo in apparenza meno interessante si presenta il periodo della maturità, quando Tiziano – specie in quanto ritrattista – si avvia a diventare il pittore prediletto delle corti dell’intera Europa cattolica. L’impressione che tale ruolo lo induca a diminuire il proprio coinvolgimento nella produzione di stampe e a ripiegare su un approccio più conservatore al disegno, ormai utilizzato soprattutto come strumento di progettazione, risulta infatti ingannevole: a uno sguardo più attento si rivela come il suo impegno in campo grafico, tra cui la probabile partecipazione al corredo illustrativo del trattato anatomico di Andrea Vesalio, sia lungi dal passare in secondo piano e si intrecci sempre più strettamente con le sue capillari strategie imprenditoriali volte a procurarsi il favore di protettori come il papa Paolo III Farnese e la sua famiglia e i sovrani asburgici Carlo V e Filippo II. Anche negli ultimi decenni di vita Tiziano resta infine fedele a questo orientamento, preoccupandosi in primo luogo di assicurare un futuro alla bottega e al figlio secondogenito Orazio e di recuperare il controllo sulla produzione di stampe tratte dalle sue opere, in parte sicuramente secondo modalità più o meno clandestine, da diversi, e a volte poco scrupolosi specialisti del bulino come Giulio Bonasone, Jacopo Caraglio, Giulio Sanudo o Giovanni Battista e Giulio Fontana. Mentre le incisioni prodotte in una vera e propria business partnership insieme all’olandese Cornelis Cort e ricavate con molteplici significative varianti da famosi dipinti dell’anziano Vecellio mirano palesemente a questo duplice obiettivo, ad esse si affiancano però al contempo alcuni disegni che, al pari dei grandi capolavori pittorici, rientrano tra le creazioni più personali e toccanti del vecchio artista.


Tiziano inflessibile monopolista.
L’uso della grafica per saturare il mercato.

Di Alfonso Frigerio –  Giornale dell’arte settembre 2017

Il volume di Peter Ludemann è la recente aggiunta alla meritoria produzione scientifico-editoriale del Centro Studi Tizianeschi. Rappresenta programmaticamente il coronamento del precedente saggio Le botteghe di Tiziano, del 2009, curato da bernard Aikema, Giorgio Tagliaferro, Matteo Mancini e Andrew John Martin (cifr. N. 304, dic. ’10, p. 62). Ben articolato, con capitoli che seguono lo svolgimento della lunga carriera del cadorino, analizzando il ruolo delle opere su carta all’interno di quello che è stato definito il “sistema Tiziano”. Il maestro lavorava, infatti, con un modello organizzativo fortemente pragmatico, capace di evolvere nel corso dei decenni per rispondere alle esigenze di una clientela sempre più vasta e internazionale. In una successione fitta di analisi rigorose, Ludemann parte concretamente dalla produzione incisoria degli esordi, approfondendo i rapporti non sempre semplici con silografi tedeschi e con gli incisori Domenico e Giulio Campagnola, ma anche quelli con i più stretti collaboratori, a partire dal fratello Francesco. La bottega silografica assume assume un ruolo centrale dapprima nella fase di conquista del mercato, poi nella costruzione di una strategia autopromozionale, destinata a evolvere negli anni della maturità e della vecchiaia in nuove collaborazioni, in primis con Cornelis Cort, finalizzate a capitalizzare il marchio di “Titianus inventor” attraverso una stampa di riproduzione. La lettura è impegnativa, ma ricca di continui stimoli. Il volume rappresenta il frutto di un denso lavoro destinato a entrare tra le opere di riferimento per gli studi tizianeschi. Ciò anche per scelte di metodo intelligenti, come quella di non porre “la piena e sicura autografia delle opere prese in esame”  come condizione obbligatoria, riconoscendo invece come proprio i disegni di paternità incerta possono ai fini della ricerca rivelarsi più significativi dei capolavori riconosciuti. Uno degli obiettivi ben centrati dall’autore è quello di scardinare la faziosa e fuorviante rappresentazione vasariana dell’arte veneta e della statura artistica di Tiziano come costituzionalmente indebolita da un carente studio del disegno. Al contrario, l’impiego della grafica è approfondito in tutti i suoi aspetti, ma sempre entro la prospettiva delle officine pittoriche a gestione familiare. In queste, il disegno poteva di volta in volta svolgere funzioni di apprendimento, perfezionamento e sperimentazione, non raramente finalizzato anche alla produzione di opere grafiche dotate di un loro valore autonomo. La tesi conclusiva di Ludemann riconosce nella particolare declinazione rigorosamente gerarchica della bottega tizianesca, in cui il maestro monopolizzava gelosamente la prerogativa dell’inventio, con collaboratori attivissimi pronti a replicare, ma scoraggiati dall’innovare, la vera causa del rapido dissolvimento della sua eredità professionale e spirituale.


I disegni di Tiziano marchio indelebile della sua officina.

Di Enrico Tantucci 

I disegni di Tiziano marchio indelebile della sua officina di Enrico Tantucci Il Tiziano disegnatore, una questione di immagine. Viene a colmare un vuoto importante nella conoscenza del grande artista cadorino e della sua opera grafica il volume dello studioso tedesco Peter Luedemann, “Tiziano – Le botteghe e la grafica” appena pubblicato per i tipi di Alinari sotto l’egida della Fondazione Centro Studi Tiziano e Cadore, nata ormai da diversi anni a Pieve di Cadore proprio per diffondere anche sul piano scientifico la sua conoscenza. Se “Le botteghe di Tiziano” – uscito sette anni fa e curato da Giorgio Tagliaferro e Bernard Aikema con Matteo Mancini e Andrew John Martin, sempre a cura della Fondazione – faceva luce sul suo sistema artistico e come si era sviluppato in settant’anni di attività anche con il contributo dei suoi aiuti, questo libro è di fatto il primo studio approfondito e “spalmato” sull’intero arco della sua attività, sulle varie funzioni del disegno tizianesco in bottega ma anche su quello della grafica a stampa. Delineando un vero e proprio sistema Tiziano, volto a propagandarne un modello figurativo anche al di là della sua esistenza, con tecniche di comunicazione visiva in certo modo non dissimili da quelle di certi celebrati artisti contemporanei. Alla base di questa mancanza, anche la sottovalutazione a cui è sempre stata sottoposta la grafica di Tiziano, in un quadro critico convenzionale – come sottolinea anche lo stesso Aikema nell’introduzione al volume – che ritaglia al disegno un ruolo limitato e non autonomo nell’arte veneziana, rispetto ad esempio a quello della grande arte toscana rinascimentale. A questo si aggiunge una produzione decisamente ridotta di disegni autografi del grande artista cadorino – una cinquantina circa – rispetto alle centinaia e centinaia di artisti come Raffaello e Michelangelo. Che tra l’altro lo criticava proprio sul piano grafico, a dar retta a quanto riferisce il Vasari nelle “Vite” nell’incontro tra i due a Roma, dove Michelangelo aveva da poco terminato il Giudizio Universale e Tiziano stava lavorando sulla Danae. Michelangelo – riferisce il Vasari – «lo comendò assai, dicendo che molto gli piaceva il colorito suo e la maniera, ma che era un peccato che a Vinezia non s’imparasse da principio a disegnare bene e che non avessero que’ pittori miglior modo nello studio». Il libro di Luedemann serve a ribaltare in buona parte questo giudizio, perché la grafica e il disegno a Tiziano interessavano invece moltissimo sin dagli esordi della sua “officina”, a cominciare ad esempio dalla xilografia anche di grande formato e dal rapporto di collaborazione instaurato a questo scopo con Giulio e Domenico Campagnola. Un filo rosso, quello dell’attenzione al disegno e alla grafica che sottende comunque a tutto il suo “cursus honorum” di artista, con le tipologie più diverse: dai fogli di paesaggio giovanili, agli studi preparatori, agli schizzi. Ma anche in bottega, quando si “producono” modelli per stampe o disegni replicati dagli assistenti per il mercato collezionistico, è sempre Tiziano il dominus che governa la produzione all’interno di – come scrive Luedemann – «una struttura rigorosamente gerarchica in cui il titolare non era certo l’unico a maneggiare penna, inchiostro e matite, ma monopolizzava con acuta gelosia la prerogativa dell’inventio». Perché «soprattutto interessato a circondarsi di un’agguerrita squadra di collaboratori tanto abili nel moltiplicare le sue immagini di maggiore successo quanto paghi di questo compito limitato e che trascurava o addirittura scoraggiava eventuali aspirazioni di essi a sviluppare una propria personalità creativa». Luedemann ricorda come lo stesso Vasari riferiva della scarsa vocazione pedagogica di Tiziano e il Ridolfi ricorda un aneddoto secondo cui l’artista avrebbe addirittura scacciato il giovane Tintoretto dopo averlo scoperto autore di alcuni studi su carta che in genere i discepoli non erano evidentemente invitati a eseguire. L’obiettivo dell’anziano maestro era assicurare, anche al di là della propria scomparsa, la sopravvivenza dell’officina-Tiziano sul piano economico e artistico. Come infatti avvenne.  

(Corriere delle Alpi- Il Mattino di Padova- La Nuova di Venezia e Mestre- La Tribuna di Treviso)